Il Quartirolo Lombardo è un formaggio italiano a denominazione di origine protetta (DOP), con una notorietà legata a un carattere e a un atto di nascita che lo rendono unico e originale. Bianco con una pasta di consistenza “gessata”, morbido e con un gran buon gusto, ha una storia che si intreccia con il ciclo stagionale e le usanze agricole di una ben precisa parte della Lombardia, situata tra la pianura del Po e le vallate prealpine tra Bergamo e Lecco, dove signoreggia, tra tutti gli altri, il celebre profilo del Resegone, il monte dalla inconfondibile corona rocciosa dentellata . Qui, già qualche millennio fa gli abitanti curavano i pascoli, coltivavano i prati e allevavano mandrie di bovini per ottenere latte e trasformarlo in formaggio.
Ma come è nato il Quartirolo Lombardo che, come viene definito sui documenti ufficiali, è un «formaggio da tavola, prodotto con latte vaccino»? La sua origine risale almeno al X secolo dopo Cristo e ha a che fare con l’antica consuetudine dei mandriani lombardi, localmente chiamati bergamini, di far soggiornare il bestiame in montagna durante i mesi estivi e di riportarlo più a valle poco prima dell’autunno, dove il clima è più clemente e i prati riescono a ancora vegetare, riuscendo a dare erba da foraggio anche a fine stagione.
L’allevamento transumante o «transumanza» ha origini antichissime, che si rifanno all’abitudine dei cacciatori preistorici, che era poi una necessità, di seguire la selvaggina nel suo casuale e disordinato peregrinare. Le evoluzioni storiche hanno trasformato questa mobilitazione occasionale in un’attività ragionata, applicata ad animali non più selvatici, ma diventati domestici, spesso loro malgrado. In questa nuova organizzazione, il ciclo stagionale imponeva ugualmente degli spostamenti, gli stessi che ancora oggi, là dove esiste, sono alla base della transumanza, chiamata anche «alpeggio» o «monticazione»: nella buona stagione si sale in montagna, ai primi freddi si scende in piano o più a valle.
Nel XV secolo questo modo di allevare il bestiame era già un rituale secolare tra le montagne lombarde e coinvolgeva i pastori che abbandonavano le cime dei monti della Valsassina, della Valtaleggio, della Val Varrone e della Val Imagna, per stabilirsi nelle più confortevoli e ricche contrade a quota più bassa. Si è trattato di un esodo molto importante, che ha segnato l’economia delle campagne di quest’angolo di Lombardia, dove i traffici e le comunicazioni tra i vari mercati erano diventati molto vivaci. Ma l’usanza di tornare in estate sui loro monti per far pascolare vacche e buoi tra i prati alpini fu mantenuta da molti allevatori di bovini.
A fine settembre, poi, gli animali che avevano ripreso la via delle stalle, dopo lo stancante trasferimento dai pascoli in quota, più a valle trovavano, come ricompensa della faticosa discesa, gli ultimi fili d’erba cresciuti dopo il terzo taglio di fieno, l’erba quartirola, l’erba di fine stagione, una composizione floristica, bassa e spessa, carica dei profumi di un’intera estate.
Il formaggio che riusciva di migliore qualità veniva chiamato quartirolo, in omaggio a quegli ultimi fili d’erba fresca, e a volte anche stracchino quartirolo, dove l’appellativo «stracchino» derivava dall’antica parola dialettale lombarda stracch, che vuol dire «stanco», perché la seconda lavorazione del latte per fare formaggio quartirolo era l’ultimo lavoro della giornata che faceva il contadino, ma anche perché sfinite erano le vacche della transumanza da cui si prendeva il latte che si adoperava in autunno.
Ma la dieta di questi animali era buona, grazie a quel buon foraggio, tardivo dono dei prati settembrini e anche di oltre ottobre, e il latte che ne derivava era molto aromatico e veniva trasformato in quartirolo, pure di aroma molto buono e di gusto particolare. Ancora oggi che il Quartirolo Lombardo non è più un formaggio stagionale, ma fatto tutto l’anno, questo gusto si ritrova nelle forme artigianali prodotte all’inizio dell’autunno.